ALCUNE TESTIMONIANZE
Testimonianza personale di Charankatt Solomon Philomina da Udienza Papale nel 2019
Io sono Philomina, nata in India (Kerala). Entrata in Istituto Missionario “Ancelle dei Poveri” nel nord dell’India (Lucknow). Quando ero ragazza avevo odio e rabbia verso i carcerati, questo pensiero era rimasto in me. Nel 1993, dopo la professione perpetua, sono andata in Etiopia, a 600 km da Addisababa, in un villaggio che si chiama Taza. Come lavoro facevo il tecnico di laboratorio nella nostra clinica e aiutavo la parrocchia. In questa comunità noi eravamo in 13. Durante l’Avvento e la Quaresima la fraternità ha preso la decisione di non mangiare né carne né pesce.
I soldi risparmiati con questa decisione, li abbiamo spesi per offrire a Natale e a Pasqua un pranzo completo per i carcerati di quella zona (Durame). In quei giorni io con il Parroco e alcune mie consorelle abbiamo servito loro il pranzo. Però io avevo ancora dei risentimenti verso di loro che sono svaniti quando ho visto nei loro occhi la tristezza, disperazione, tenebre e la loro condizione umana molto degradata dalle catene alle gambe. Mentre tornavo a casa il mio animo era sconvolto
e non ho potuto dormire quella notte. Nella notte ho pregato e chiesto perdono a Dio e mi sono riconciliata, ho trasformato il mio odio in amore e misericordia verso i carcerati.
Nel 2000 sono arrivata in Italia a Bologna. Il mio compito era di prendermi cura dei frati ammalati anziani. Mentre facevo questo servizio ho visto un padre cappuccino che andava in carcere per celebrare la Messa. Ho subito chiesto a lui come poter fare un servizio nel carcere e lui mi ha dato questa indicazione: nello stesso anno sono entrata in un gruppo di persone che si chiama AVOC (Associazione volontari carcere), e con queste ho cominciato a fare dei gruppi di Vangelo, catechesi, visita in cella maschile durate la cena, comunicazione tra familiari dei detenuti e gli avvocati, assistenza sociale ecc. Quello che mi ha aiutato molto è stata anche la mia conoscenza
di cinque lingue. In questi anni il carcere è diventata la mia famiglia, il loro dolore diventa il mio dolore, il mio dolore diventa il loro dolore. L’amicizia con loro è diventata una unione di sangue. Sento la loro mancanza quando non posso andare. Stando con loro ho imparato che non possiamo giudicare nessuno perché ogni detenuto ha dietro di sé una storia triste che lo ha portato o costretto ha fare scelte sbagliate. Sono madrina di dieci detenuti. In questi anni, camminando, con loro ho portato amore, perdono, unione, fede, verità, speranza, gioia e luce. Oggi mi sento fortunata perché il Signore mi ha donato e chiamato a questa esperienza. Quando parlo con loro mi viene forza e gioia perché il Signore mi mette in bocca le sue parole («Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca… Ger 1,9), e ricordo il profeta Geremia.
Il mio apostolato in carcere
Da diciotto anni vado nel carcere a Bologna, con le detenute ci troviamo ogni martedì per un incontro sul Vangelo della domenica successiva, dove ognuna viene invitata a esprimere la sua riflessione personale e sociale. Accompagno e preparo i detenuti che lo desiderano al cammino dei primi sacramenti, questi mi vengono affidati dal cappellano. Coi detenuti specialmente gli stranieri, ascolto i loro problemi e cerco di risolverli, per esempio col tenere i contatti con gli avvocati e assistenti sociali; cercando, se è necessario, comunità per gli arresti domiciliari. Tengo i contatti con i loro famigliari aiutandoli a riconciliarsi e accettare la loro condizione. Nel reparto maschile al secondo piano giudiziario, braccio C e D, sono presenti 104 detenuti, lì vado una volta al mese e li incontro durante la cena che fanno nella loro cella, in questo momento di condivisione io li sento molto amici e famigliari. Nel carcere conoscendo i volontari, sia consacrati che laici, ho visto in loro l’impegno e l’intenzione di trasmettere la loro fede, donare la parola di Dio e il suo amore misericordioso che fa nascere nei carcerati la speranza. Nascono rapporti di amicizia che proseguono anche fuori dal carcere. Nella mia esperienza di questi diciotto anni c’è stato sempre un buon rapporto con i Cappellani e i poliziotti penitenziari. Ho imparato in questi anni che è molto importante la nostra buona volontà per portare un sorriso, una parola di pace e di speranza ai sofferenti.
La mia vita come membro dell’Istituto Secolare Ancelle dei Poveri
Da bambina avevo sentito dell’esistenza dei missionari, anche attraverso la rivista “Piccoli Missionari” e pensavo di diventarlo anch’io, da grande. Dall’infanzia amavo leggere tutto quello che potevo avere, soprattutto storie di detectives e Vite dei Santi: i miei preferiti erano Maria Goretti, Don Bosco, Domenico Savio e S. Antonio. Continuavo a rileggere le loro biografie.
In un certo senso non ero attratta dalla vita religiosa ma, allo stesso tempo, volevo consacrare me stessa a Dio.
Poi sentii parlare dell’Istituto Secolare: le ancelle vivevano nel mondo, come tutta la gente, ma dedicate al Signore, nella tempesta della vita quotidiana e non in convento. Quindi mi unii all’Istituto Maids of the Poor (Ancelle dei Poveri). Ci furono molti ‘su e giù’ nella mia vita nell’Istituto. Anche momenti in cui pensai di non aver fatto la scelta giusta, ma Dio che aveva il suo piano per la mia vita, non mi ha mai lasciato sola. Quando guardo indietro, vedo le impronte dei passi e capisco che Lui mi stava conducendo.
Non avevo alcuna preparazione professionale, per cui studiai come infermiera poi seguii la formazione spirituale e presi i miei primi voti temporanei. Per i successivi 6 anni vissi e lavorai con le consorelle e mi consacrai definitivamente. Poi ebbi il permesso di lavorare all’esterno, individualmente. Una volta che fui fuori e ottenni un lavoro, fui consapevole di essere responsabile della mio mantenimento economico e della mia vita spirituale. Fu allora che cominciai davvero a vivere come una consacrata secolare!
Ero ben sistemata in India come capo reparto, quando la Direttrice Generale dell’Ordine mi disse di andare all’estero per stimolare nuove vocazioni e sostenere finanziariamente le missioni dell’Istituto. Nonostante io accettassi, non volevo andare e pregavo Dio, se fosse possibile, di non farmi partire. Avevo paura di essere sola in un Paese straniero e di come potevo farcela. Ma la volontà di Dio era che dovevo andare. Così raggiunsi Londra, fu un esperienza ‘spaventosa’. Da sola, in un Paese straniero, in una cultura diversa, senza lavoro. Uno shock culturale e sociale, comunque dovevo trovarmi un lavoro e fare formazione per ottenere una posizione lavorativa appropriata. Nella mia profonda disperazione e solitudine, non sapevo da che parte voltarmi e chiesi a Dio “perché io?”. Mi inginocchiai e implorai Dio di mostrarmi la strada, da che parte cominciare. Da allora cominciai a parlare a Gesù chiedendogli aiuto e di camminare al mio fianco. Fu uno dei periodi migliori della mia vita, sentivo la presenza di Dio. Pian piano cominciai a fare dei piccoli lavori, tramite un’agenzia per l’impiego. Pochi mesi dopo ottenni un posto che comprendeva la formazione come infermiera senior e mi sentii sistemata.
Ma non passò molto tempo che avvenne un altro shock, ebbi la diagnosi di cancro e dovetti sottopormi a due severe operazioni e alla chemioterapia. Tutto avvenne intorno al tempo del Natale. Non avevo nessun altro cui rivolgermi e mi affidai in tutto a Dio per attraversare quel difficile periodo. Sentii che Lui mi diceva di non aver paura: “Io, tuo Signore, tengo la tua mano destra, sono con te e ti aiuterò”. Fu una vera rassicurazione per me da parte di Dio. Tuttora continuo a ripetermi quelle parole, tutti i giorni. Cominciai anche a dire a me stessa: “Annie tu sei meravigliosa, ti amo, questo è uno dei giorni migliori della tua vita, tutto procede per il meglio per te, tutto quello che vuoi sapere ti viene rivelato. Sono benedetta oltre ogni mio possibile sogno, ho tutto per ringraziare Dio”. E ripeto ciò, talvolta, durante il giorno.
Per parlare della mia vita spirituale, sono così fortunata da poter seguire la Messa tutti i giorni. E continuo a dire le preghiere del mattino e della sera, faccio una breve meditazione sulla lettura del giorno e leggo qualche passo della Bibbia o di altro scritto religioso. Dico anche il Rosario e la Preghiera di Misericordia. Seguo poi dei corsi sulla Bibbia in parrocchia.
Prima lavoravo full time come infermiera, ora invece sono part time. Partecipo attivamente alle attività della parrocchia e sono Ministro Eucaristico, porto l’Eucaristia ai malati nelle case e collaboro con la San Vincenzo facendo visite domiciliari, dove c’è bisogno cerco di aiutare.
Condivido la casa con altre donne che lavorano. Qualcuno mi chiede se non mi sento sola e lontana dal mio mondo di origine, ma io non mi sento così. Mi adatto facilmente alle persone con cui vivo e lavoro, le considero parte della mia famiglia. Inoltre sono in frequente contatto con la mia famiglia, con l’Istituto e delle amicizie.
Una cosa devo dire: mi sento sempre nel mio impegno consacrato a Dio e cerco di essere un po’ il lievito dovunque io mi trovi. Sono consapevole che se non avessi le mie radici in Cristo, potrei facilmente disperdermi e cadere.
Ricordo spesso i miei genitori che hanno piantato nel mio cuore i piccoli semi della fede, specialmente mia madre che mi insegnò a pregare da piccola. Mi disse di dire il rosario mentre andavo a scuola e quando mi sentivo sola. Tutto ciò è diventata la mia abitudine: dico il rosario quando esco di casa la mattina. La mia giornata inizia ringraziando Dio per il buon sonno e il giorno che inizia, non so cosa mi porterà ma so che Gesù mi accompagnerà e mi sento sicura.
Testimonianza di A. S.
Circa 20 anni fa in un momento buio della mia vita un incontro, all’apparenza come tanti, si rivelò nel tempo assai importante. All’epoca lavoravo come impiegata presso l’azienda ASL della città di Bologna presso uno sportello aperto al pubblico. Una mattina mi si presentò una donna, vestita con abiti che potevano ricordare una divisa e con un crocifisso al collo.
Quella persona era Maria Rosa, fu quello il primo di tanti incontri.
Con lei entrai a far parte di un mondo a me sconosciuto e mi permise di conoscere persone eccezionali che mi hanno accompagnato e talune ancor oggi fanno parte della mia vita.
Maria Rosa faceva parte delle Ancelle dei Poveri, un Istituto Missionario, che opera in diverse parti del mondo.
All’epoca la loro residenza era in una villa sui colli di Bologna.
Fui invitata a conoscere le sue consorelle alcune delle quali di nazionalità Indiana e mi piace ricordare, e non senza un pizzico di nostalgia, quei momenti e al primo incontro con Nirmala, Leela, Lizzie, Filo, Teresa, in seguito conobbi Antonietta, Carla e Lidia.
Cominciai a frequentare l’istituto e in particolare Maria Rosa che si trovava a Bologna momentaneamente, la sua residenza abituale era in Etiopia dove svolgeva opera missionaria. Era piacevole sedere al tavolo per un the o passeggiare nel parco, mi sapeva ascoltare……quando me ne andavo via ero più serena. Maria Rosa mi raccontava del suo essere missionaria, delle sue scelte e della sua grande fede nella Provvidenza, mi esortava ad aprire la mia mente e il mio cuore alla conoscenza dell’altro. Nel tempo iniziai a trascorrere più tempo anche con Nirmala e Leela, e quando Maria Rosa tornò in Etiopia, con mio sommo dispiacere, per proseguire il suo mandato missionario trovai accanto a me due grandi amiche, tanto diverse tra loro ma entrambe importanti.
Con Nirmala iniziai il mio percorso yoga e con Leela le mie promozioni di lingua inglese.
Testimonianza di R. N.
Sono venuta in contatto con le sorelle dell’Istituto Missionario Ancelle dei Poveri nell’ottobre del 2014 tramite una mia cara amica che le conosceva.
Mi sono rivolta a Nirmala perché era un momento di grande confusione per me: ero in ansia, arrabbiata, avevo sempre il pensiero rivolto a mia madre con la paura di perderla.
Tramite gli incontri e le sedute di yoga nidra e meditazione il tutto è molto migliorato e quando quest’anno in febbraio la mia mamma se ne è andata sono riuscita ad affrontare serenamente questo momento.
Così come mi sono passati anche altri problemi che erano annidati dentro di me e che nel corso degli anni non ero riuscita ad elaborare.
Stiamo ancora lavorando su tutto, perché questo deve essere un lavoro costante e duraturo.
Un abbraccio alla cara Nirmala e anche a tutte le altre sorelle.
Testimonianza di M. P.
Nel 2002 ho avuto una forma di depressione profonda dovuta a problemi affettivi. Sono una combattiva di natura e un medico, non ritenevo sufficienti le terapie farmacologiche, servivano per superare i momenti di massima intensità e a contenere l’angoscia, ma avevo bisogno di ricostruirmi lavorando su me stessa, mi sentivo “ spezzata” dentro.
Avevo intrapreso sedute di analisi che mi dava strumenti per riflettere su ciò che era successo, capire quello che è possibile capire, un lungo percorso che mi affascinava e non ho mai abbandonato, ma mi serviva anche qualcosa che mi desse una capacità di reazione più immediata.
Stava ovviamente a me operare il distacco da quella vicenda dolorosa ma ero fragilissima, annientata dal dolore e dall’insicurezza: ho staccato mentalmente dal lavoro, mi sono concentrata su me stessa, ho letto un’infinità di libri, mi sono confrontata con altre donne dalle situazioni simili, questo mi ha fatto conoscere Nirmala Thomas.
Una suora dell’istituto missionario “Ancelle dei Poveri “, maestra di Yoga, che assieme alle altre Sorelle, nel loro istituto di Bologna, è impegnata in opere sociali (assistenza ai malati, ai poveri, ecc). Lei oltre a questo esercita lo yoga e i proventi per la sua attività vanno alla casa madre.
Una donna minuta, dai lineamenti dolci, dallo sguardo intelligente e penetrante che, a prima vista, ti comunica fiducia e serenità. Si dà pienamente agli altri e riesce ad associare i valori cattolici a quelli della cultura indiana.
In una stanza, arredata con l’essenziale, con tappeti e grande silenzio è avvenuto il nostro primo incontro. In penombra, seduta a terra di fronte a lei, in posizione yoga, le ho raccontato la mia storia. Non ha pronunciato parola, mi ha fatto stendere sul tappeto e ha cercato di rilassarmi con esercizi di respirazione, di presa di coscienza di tutte le parti del mio corpo.
La sua voce dolce e ferma risuonava limpida nel silenzio della stanza, entrava in me, plasmando le mie membra e la mia mente. Facevamo meditazione e esercizi di yoga, a seconda di come mi trovava emotivamente.
A casa, nell’arco delle giornate, dovevo fare gli esercizi di rilassamento e ripetere i “mantra” che mi assegnava, per abituare la mente ad allontanare le negatività e a pensare positivo, acquisire autostima e giungere ad accettare l’accaduto perché divenisse un punto zero della mia vita da dove ripartire, facendo scelte compatibili con quella che sono.
Ecco alcuni esempi dei mantra che ripetevo:
“ la mente è come un muscolo bisogna allenarla”, “cerca di accettarti valorizzando le doti che hai di cui devi gioire”, “cerca di farti scorrere via tutto ciò che è negativo e che ti ferisce”. Frasi dette con naturalezza, mi entravano dentro, intrise di grande comprensione per il mio percorso di risalita, mi accudivano…
Ho fatto yoga e meditazione con Nirmala due/tre volte la settimana per molti mesi. Man mano avvertivo di guarire lentamente. All’inizio la mia capacità di concentrazione per gli esercizi era quasi inesistente, perdevo l’equilibrio spesso; poi pian piano andava meglio.
Lentamente sono entrata nella fase del dolore riflessivo, che non è più angoscia e aggressività ma aiuta a meditare su sé stessi, sulla propria personalità, i sentimenti e le emozioni, sugli eventi, sulle persone.
Fin dall’inizio ho avuto la certezza che avevo intrapreso la strada giusta.
Anche ora mi soffermo spesso a pensare a lei, faccio qualche esercizio, mi ripeto durante la giornata le frasi che mi ha insegnato e avverto che entra in me quell’energia positiva di cui ho bisogno, trovo aiuto e sostegno.
Mi ha insegnato che il positivo esiste…da allora ho cominciato a vederlo attorno a me, in quello che faccio e nelle persone che mi circondano.
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